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Basta il testimone per provare il pagamento di denaro in contanti da nipote a zio

Risarcimento danni

Basta il testimone per provare il pagamento di denaro in contanti da nipote a zio

Secondo la Corte d’Appello di Napoli, sez. VII, sentenza 25 luglio 2019, basta il testimone per provare il pagamento di denaro in contanti da nipote a zio. In questo caso, infatti, lo stretto rapporto di parentela può indurre il debitore a non chiedere la firma di un atto scritto con quietanza liberatoria al momento del versamento di quanto dovuto. Così, in caso di successiva controversia, la prova dell’esborso può esser data anche con una testimonianza, pure in deroga ai limiti previsti dall’art. 2721 c.c.

Il caso

Il titolare della ditta x si rivolgeva al Tribunale onde ottenere il pagamento dei lavori di falegnameria svolti presso l’abitazione di y e z oltre al risarcimento dei danni. I convenuti eccepivano l’intervenuta prescrizione del credito ex art. 2955 c.c., il pagamento integrale della merce ricevuta, e chiedevano il rigetto della domanda poiché inammissibile e sfornita di prove. Il giudice accoglieva parzialmente la domanda e condannava x e y al pagamento della somma di euro 2.040,00, quale differenza sui lavori di falegnameria, oltre interessi legali. Il titolare della ditta x impugnava la sentenza di primo grado chiedendo il pagamento della somma di euro 7.777,84 oltre al risarcimento del danno.

La sentenza della Corte di Appello di Napoli

In primo luogo, l’appellante ha osservato che l’eccezione di prescrizione presuntiva sollevata dai convenuti in prime cure “implica il riconoscimento dell’esistenza del credito nella stessa misura richiesta dal creditore”, così come stabilito dalla giurisprudenza di Cassazione. Per la Corte di Appello di Napoli, “già tale semplice osservazione avrebbe dovuto comportare l’accoglimento integrale delle richieste attoree”. Il giudice di primo grado, invece, pur rigettando l’eccezione, non ne ha tratto le dovute conseguenze giuridiche.

Il tribunale, inoltre, non avrebbe tenuto in giusto conto la posizione processuale assunta dai convenuti che, pur sollevando l’eccezione di prescrizione presuntiva dell’intero credito vantato dall’attore, avevano sostenuto di averne corrisposto una quota parte.

La parte appellante ha poi rilevato che il primo giudice non avrebbe dato rilievo alla carenza di prova documentale del pagamento che si assume essere stato eseguito da parte dei coniugi. In tal senso non potrebbero ritenersi valide le testimonianze rese dal teste, poiché tale testimonianza è stata ammessa nonostante l’opposizione della difesa dell’attore in prime cure, in quanto il capo di prova articolato era teso a dimostrare il pagamento in contanti di somme di denaro oltre i limiti legali fissati dall’art. 2721 c.c. (2,58 €). Al di là di questo il giudice avrebbe travisato la testimonianza. Infatti, il testimone, unico e solo che riferisce di pagamenti in contanti da parte dei convenuti, afferma di avere visto il pagamento di soli tre milioni di lire, per cui, pur volendo ritenere ammissibile ed attendibile la prova, egualmente residuerebbe un credito in favore dell’attore rispetto all’importo complessivamente dovuto ben superiore rispetto a quello riconosciuto in sentenza. Sul punto la Corte d’Appello, nel solco di quanto stabilito dalla giurisprudenza di Cassazione, ha precisato che le limitazioni poste dagli artt. 2721 e seguenti c.c. all’ammissibilità della prova testimoniale non attengono a ragioni di ordine pubblico, ma sono dettate a tutela di interessi di natura privatistica, “Pertanto, se è vero che la loro violazione non solo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma neppure è rilevabile dalle parti ove non sia stata dedotta in sede di ammissione della prova, ovvero nella prima istanza o difesa successiva o, quanto meno, in sede di espletamento della stessa”.

Inoltre: “E’ anche vero che è ammessa la deroga a tale divieto pur se la stessa è subordinata ad una concreta valutazione delle ragioni in base alle quali, nonostante l’esigenza di prudenza e di cautela che normalmente richiedono gli impegni relativi a notevoli esborsi di denaro, la parte non abbia curato di predisporre una documentazione scritta”.

Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, ricorre proprio questa circostanza. Sussistendo un rapporto di parentela tra le parti, può ritenersi infatti anche plausibile il versamento di un acconto in moneta contante senza la richiesta del rilascio immediato di quietanza scritta.

Appare quindi ammissibile la testimonianza assunta in prime cure. Tuttavia, per la Corte di Appello di Napoli, appare fondata la doglianza dell’appellante circa l’ interpretazione adottata dal tribunale in ordine all’importo che il testimone dichiara di aver visto versare in contanti. Per la Corte: “Non vi è dubbio invero che l’importo versato (complessivamente) sia di £ 3.000.000 (pari ad € 1.549,37) sia pure versato «in due soluzioni». Il primo giudice è infatti incorso in un errore evidente nel ritenere che fossero stati effettuati due versamenti (ciascuno) di £ 3.000.000 giungendo a determinare l’ammontare pagato in 6.000.000. Il teste ha precisato infatti che ha assistito «al pagamento» («in due soluzioni») «di tre milioni in contanti». Nella redazione del verbale di udienza sono state evidentemente omessi i segni di punteggiatura, ma il senso della precisazione è quello di una incidentale nella frase con la quale il teste dichiara che il pagamento complessivo è stato pari a £ 3.000.000”. Per ciò che concerne le doglianze dell’appellante circa la mancata valutazione della richiesta risarcitoria formulata in prime cure, per i Giudici la questione è fondata anche se, tuttavia, la domanda non può ritenersi accoglibile in quanto sfornita di ogni evidenza probatoria.

Esito:

La Corte di Appello di Napoli ha condannato y e z al pagamento in favore del titolare della ditta x l’importo di € 6.226,47 oltre gli interessi nella misura legale ex art. 1284 c.c. dalla data della domanda.

Riferimenti normativi:

Art. 2721 c.c.